Il Presente di una festa
Uno spiazzo assolato, macchia d’erba dorata su cui schiocca un sole feroce d’inizio estate. La canicola del primo pomeriggio è solo in parte lenita da un vento gentile, soccorso apprezzato per gli ardimentosi giunti dal mattino nella minuta piazza dell’Unità d’Italia ad allestire gazebo, sistemare oggetti, vestiti e cibarie, montare un piccolo impianto d’amplificazione per le performance di musica, danza e teatro.
Una Porcari indolenzita dal caldo accoglie, osserva, studia con placida curiosità il laborioso affannarsi di persone unite nello sforzo comune di una festa (una festa!?) difficile da illustrare a chi non sia disposto, almeno un poco, a compiere un salto con la fantasia: del Presente.
Cos’è una Festa del Presente? Cosa significa? Cosa rappresenta?
Sappiamo (forse) cos’è una festa: momento collettivo votato allo spreco gioioso, alla mai sufficientemente glorificata improduttività rispetto a un mondo preso in ostaggio dal lavoro, dal ricatto dell’utile, dalla distopia pneumatica del non perder tempo. Fare festa, al contrario, è perderlo, il tempo, disimpiegarlo, disimpegnarlo, liberarlo nella sua essenza più profonda, persino dall’essere (dover essere) tempo libero, ultima frontiera della schiavitù moderna.
È però il termine Presente a mettere in crisi gli amministratori, strappar occhiate perplesse, sorrisi basiti, increspare i volti di coloro che vengono informati da giornali, manifesti, conoscenti:
Presente in che senso? Dono, regalo, offerta. Gratuita. Non baratto, non scambio, a replicare su altri presupposti il meccanismo del mercimonio, corollario del principio utilitaristico e quindi economico. Presente come omaggio, elargizione, pensiero: senza niente in ritorno, solo dare, solo darsi, solo metter(si) in gioco, in ballo, in discussione.
Carnevale dell’Economia, recita il sottotitolo. Carnevale: festa, rovesciamento, messa in crisi dei valori costituiti, dell’ordine quotidiano, della dittatura (apparentemente) indiscutibile dell’esistente.
E “La generosità come attentato al PIL”, slogan puntuale, acuto, senza bisogno di ulteriori precisazioni.
Il Presente, però, è anche tempo. Presente oggi, presente qui e ora.
In un mondo che disconosce la gratuità, la possibilità del non interesse da maturare, privo di rientro, ancor peggio, di ricompensa, riconoscimento, in terra o altrove, liber(at)o dalla contabilità dell’equilibrio aritmetico. E Presente come esserci, presenziare, presentar(si), pres(en)tar(si), affermare che qualcos’altro, non si sa come, non si sa cosa, è possibile.
Non si sa come o cosa, ma si sa. Si sa e si pre–sente, s’avverte, presagisce, intercetta, pur senza riuscire a immaginarlo compiutamente.
Eccola, la prima Festa del Presente: gruppi, associazioni, professionisti, appassionati, artisti, individui che s’incontrano nella calura d’una domenica di mezza estate, quella dei fuochi di San Giovanni. Con la differenza che il sole è ben alto, i falò non servono, la cittadina langue nell’attesa, dilatata dal caldo, della partita serale. Nonostante tutto, nonostante sia la prima edizione, un esperimento, una sfida, nonostante non sia (stato) facile spiegare cosa possa essere una Festa del Presente, queste persone sono qui, contente, sorridenti, tranquille. E non poche. Anzi.
Sui banchetti campeggiano abiti dismessi, paia di scarpe, libri, atlanti, alimenti vari, acqua (provvidenziale). Poco oltre i gazebo di massaggiatori e altri abiti, oggetti d’ogni tipo, natura e specie. L’area risuona di musiche, nell’attesa che s’esibisca un gruppo di formose fanciulle a dare un saggio dimostrativo di danza del ventre rivisitata in chiave sincretica e contemporanea. Arrivano curiosi, passanti, persone giunte a Porcari da fuori provincia, addirittura da fuori regione: non male per un’iniziativa tanto peculiare da necessitare spiegazioni, argomentazioni, chiarificazioni.
susseguono ballerini, musicisti scapigliati, teatranti stralunati, monologhi benigneschi, performance d’ogni genere, conferenze, confronti, discussioni e sorrisi: artisti in incognito s’aggirano incuriositi circospetti attoniti attratti da quella che è una vera festa, un carnevale nella sua intima essenza, perché non c’è, di fatto, palcoscenico né frattura attore/spettatore, non c’è (sud)divisione, alter(n)ità. Alternanza, piuttosto: io parlo, tu ascolti, tu parli, io ascolto. Comunanza, comunione, comunicazione. Merce rara, moneta fuori corso e che solo un momento attivo e fattivo di antieconomia poteva tentare di realizzare. Accoglienza e riflesso.
Difficile, e inutile, contabilizzare le presenze per una manifestazione distesa nell’arco di nove ore, “costretta” dalle contingenze calcistiche a serrar le tende nel morbido sole avvolgente delle sette pomeridiane. Mille, millecinquecento persone: difficile dire, di certo inutile. Com’è altrettanto difficile e inutile citare tutti gli intervenuti: una Festa del Presente, come tale, non assume le fogge d’una passerella autopromozionale.
Chi viene dona, si dona, senza presupporre ritorni, di fiamma o d’ingaggio.
Resta il sapore buono d’una giornata non spesa inutilmente (questo il vero “ritorno”, accettabile e auspicabile), il Presente di una festa regalata alla città che l’ha accolta, alle persone intervenute, a tutti coloro che ne hanno permessa la realizzazione. Resta il retrogusto prezioso di qualcosa che potrà crescere nel tempo, magari farsi appuntamento fisso, punto di partenza e riflessione per ripensare e ripensarsi, nell’unica speranza che non sia (solo) un carnevale, rovesciamento d’un giorno che, dissacrando, consacra l’ordine destinato al ripristino conclusa la baldoria.
La speranza, ancorché lucida e quindi di-sperata, è quella comune a ogni iniziativa artistica: immaginare e realizzare qualcosa che ancora non esista e che possa, in qualche modo, cambiarci la vita.
Igor Vazzaz